È un artista che apprende, studia e rielabora le novità artistiche di quegli anni in cui il linguaggio pittorico si schiude al Rinascimento e ai suoi grandi nomi.
All’inizio della sua carriera, così come il padre, imita la maniera degli ascolani Crivelli, ma ben presto elabora un suo personale linguaggio influenzato dalla pittura umbra e dalle opere del contemporaneo marchigiano Pietro Paolo Agabiti.
Prolifico di dipinti e affreschi disseminati in quasi tutta la regione dalle chiese del Piceno a quelle del Montefeltro, è presente nelle pinacoteche di Fermo, Ascoli Piceno, Massa Fermana, Sarnano, San Ginesio e nelle Gallerie Nazionali di Urbino e dell’Umbria.
Il Pagani realizza opere dalla grandiosità quasi scenografica delle composizioni unita ad colorismo molto vivace.
La sua felice carriera sembra conoscere un brusco arresto con l’affermarsi nelle Marche dell’arte di Lorenzo Lotto di cui comprende e adotta diverse soluzioni pittoriche e compositive.
Altro cambiamento, o meglio una nuova maturazione di stile, si avrà con il diffondersi del linguaggio di Raffaello da cui trae ispirazione creando composizioni di maggior raffinatezza.
Molti critici lo hanno apprezzato non solo per la resa dei personaggi ritratti, ma per i suoi paesaggi di sfondo, che sono quelli marchigiani, minutamente riprodotti con vivacità e naturalezza.
La tavola di Altidona gli fu commissionata da un ignoto religioso del paese, ritratto in abito nero inginocchiato ai piedi della Madonna, e venne realizzata per la Chiesa di San Michele poi demolita.
Presenta la Vergine in gloria col Bambino in braccio con una schiera di angeli festanti nella parte superiore, mentre ai suoi piedi i santi Matteo, a destra, e Michele Arcangelo a sinistra.