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Rinascimento Marchigiano. Opere d’arte restaurate dai luoghi del sisma

Gli uomini e le istituzioni sono depositari e responsabili dell’immenso patrimonio che ha reso celebre l’Italia nel mondo.

Con queste parole, scritte da Marcello Bedeschi, direttore dell’Anci Marche, e Alfredo Lorenzoni, segretario del Pio Sodalizio dei Piceni, si apre il catalogo della mostra Rinascimento Marchigiano. Opere d’arte restaurate dai luoghi del sisma curato da Stefano Papetti e Pierluigi Moriconi.

Una frase in cui è racchiuso il senso di questa splendida esposizione itinerante – ha toccato le città di Ascoli Piceno, Roma e Senigallia – che ha restituito alle Marche e al mondo preziosissime opere scampate al violento sisma del 2016. Anci Marche e il Pio Sodalizio dei Piceni hanno finanziato il restauro di 51 opere e la relativa mostra allestita con la collaborazione della Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio delle Marche, dei comuni e delle diocesi delle terre colpite dal sisma.

Anche le diagnosi e i restauri sono stati tutti “made in Marche” affidati alla Scuola di Conservazione e Restauro dell’Università degli Studi di Urbino e all’A.R.T. & Co. Applicazioni di Restauro Tecnologie e Conservazione Spin off dell’Università di Camerino.

Le opere in mostra coprono un arco temporale che va dal XV al XVIII secolo, e la “versione” espositiva allestita a Senigallia si apre con l’imponente Polittico di Monte San Pietrangeli (FM) proveniente dalla chiesa di san Francesco. Questo splendida commistione di pittura e scultura lignea è da solo una lezione di storia dell’arte marchigiana tra Quattrocento e Cinquecento: la raffinata cornice lignea di sentore gotico racchiude un impianto veneziano che si sviluppa nelle Marche muovendo dalla corte di Urbino.

Il polittico fu commissionato dai Frati minori conventuali per la loro chiesa di Osimo il 12 agosto del 1501 al veneziano Vittore Crivelli con il compenso di 200 ducati, ma il noto pittore morì pochi mesi dopo. È probabile che Crivelli fosse già a buon punto nella progettazione delle tante figure, ben 33, che compongono il polittico, ma a completare l’opera fu chiamato Antonio Solario che preferì rifare da nuovo tutto il vecchio progetto crivellesco. La completa mancanza di documenti lasciano avvolto nel mistero l’autore di questa macchina d’altare attribuita prima a Ottaviano Dolci e poi a Giuliano Presutti che si presenta ormai come il vero padre del Polittico, mentre nel dubbio rimane la collocazione a Monte San Pietrangeli di Fermo anziché a Osimo dove era destinata.

Nella stesa sala sono esposte 8 superbe tavole a tempera e oro che raccontano le Storie di Santa Lucia dipinte da Jacobello da Fiore tra il 1420 e il 1425 provenienti dalla Pinacoteca Civica di Fermo. Sono un altissimo esempio di quel gotico veneziano internazionale  portato nelle Marche proprio da Jacobello. Le tavole dovevano far parte di un corredo più ampio che vedeva un dipinto centrale attorniato dalla tavole fermane. La narrazione che Jacobello propone è quella della Legenda Aurea da cui si snodano gli episodi: Lucia in preghiera davanti alla tomba di sant’Agata, Lucia che distribuisce l’elemosina, Lucia Denunciata al giudice dal suo fidanzato, Lucia trascinata al lupanare con i buoi, Lucia nelle fiamme del Rogo, Lucia trafitta alla gola dal pugnale del boia, Lucia riceve l’Eucarestia, Seppellimento di santa Lucia.

Jacobello fu tra i migliori artisti della scuola veneziana e particolarmente attivo nelle Marche del primo Quattrocento dove propose le sue immagini eleganti e preziose che richiamano le miniature bizantine  con robusti influssi di Gentile da Fabriano tanto che queste tavole furono a lungo attribuite alla scuola di Gentile. “La varietà di fogge e costumi, la specificazione persino in senso esotico delle comparse, va d’accordo, nelle Storie della santa, con la fioritura di guglie, pinnacoli e logge che articolano le fantastiche costruzioni e con le illusioni prospettiche, vistosamente presentate …” (Federico Zeri).

Dalla bottega di Cola dell’Amatrice proviene la grande tavola con i santi Antonio da Padova, Gerolamo, Francesco d’Assisi, Giacomo della Marca, e Domenico sotto alla rappresentazione della Natività. Era posta nella chiesa di san Francesco di Ascoli Piceno e poi spostata nella sagrestia del tempio gotico. Dalla mano di Cola dell’Amatrice proviene anche la porzione di affresco che raffigura il Redentore, unica immagine superstite dal grande ciclo che ornava la chiesa di santa Margherita da Cortona, poi custodita nella Pinacoteca Civica di Ascoli dagli anni Novanta del secolo scorso. Un pittore tutto da scoprire che già Giorgio Vasari aveva descritto come  un artista che sarebbe stato “ancora migliore se avesse la sua arte esercitato in luoghi dove la concorrenza e l’emulazione l’avesse fatto attendere con più studio alla pittura, ed esercitare il bello ingegno di cui si vide che era stato dalla natura dotato.”

Dalla chiesa di san Francesco di Matelica proviene il San Francesco di Pola che spegne la fornace in fiamme dipinto da Giovanni Serodine  negli anni Venti del Seicento. Il racconto è quello del miracolo del Santo che spegne l’incendio divampato nella fornace di mattoni, con cui si stava costruendo il convento, con le proprie mani senza riportare alcuna ustione. Un istante che Serodine immortala con la sua maestria dipingendo il calore delle fiamme su una mano quasi trasparente che non ha timore ad avvicinarsi al fuoco. L’Estasi di san Francesco e l’incoronazione della Vergine dal santuario di Santa Maria delle Vergini di Macerata porta l’iscrizione del suo autore GIOSEPH.BAST.NI FACIEBAT 1600. Si tratta, infatti, del pittore maceratese Giuseppe Bastiani vissuto tra Cinquecento e Seicento. Fu artista prolifico, attivo nel centro Italia, alle dipendenze del cardinal Odoardo Farnese, che apprende e rielabora i modelli romani e bolognesi dell’epoca. Nel san Francesco l’impianto è completamente originale dalla tradizionale iconografia francescana: divisone netta tra il registro superiore che presenta l’incoronazione della Vergine e quello inferiore dove il santo assisiate si trova nel mezzo di un colonnato aperto verso le colline.